I BAR DI ASMARA

I bar di Asmara fanno parte della storia della luminosa città africana, dagli anni dei “vecchi coloniali” a oggi, alcuni sempre uguali in un tempo che pare sospeso.   Sul viale principale, Harnet Street, i bar più frequentati, come lo storico bar Impero, hanno tavolini all’aperto, ci si siede, si beve il caffè, “l’espresso”, il tè o l’ottimo cappuccino, si gustano le brioche o le paste, e si guarda la gente che passa. In quello che era una volta il viale della Regina, un altro storico bar, il bar Vittoria,  ha ancora i vecchi specchi, il vecchio bancone e le bottiglie con etichette d’epoca, un bar anni cinquanta frequentato anche dai pochi e stupiti viaggiatori che passano per Asmara. E’ difficile, nel tardo pomeriggio, trovare da sedersi, al bar Vittoria. Gli abituali frequentatori, quasi tutti eritrei, si danno appuntamento per fare molto più di due chiacchiere. Nel bar immerso in un’atmosfera felliniana, come molti altri bar di Asmara, si chiacchiera, si discute, si parla di calcio, si conoscono anche le squadre italiane. Ricordo un amico, il primo sindaco di Asmara dopo la liberazione dell’Eritrea. Era un uomo carismatico, aveva uno straordinario senso dell’humor, parlava sei o sette lingue, ed era un grande tifoso del Milan. Sapeva tutto sul calcio e ne parlava al bar con gli amici nei momenti in cui poteva distrarsi dai tanti problemi da affrontare, senza perdere di vista le partite del suo amato Milan. 

In molti bar si gioca a bigliardo, ci si estranea dalla vita “fuori”, ragazzini curiosi si affacciano, anche le donne si siedono al bar, a volte portano ai figli, tè e brioche, quelle buone brioche di una volta. In alcuni bar si ascolta musica locale, a volte contaminata da motivi occidentali.I bar dove si bevono ottimi frullati, papaia e zaituini, bisogna conoscerli, ma girando per Asmara li si trova, sia in centro che vicino al mercato della granaglie. Il più frequentato è il City Park, accanto a quella che gli italiani chiamavano la scala degli zoppi, tavolini all’aperto tra palme e bouganvillee, musica, squisiti frullati e il cinguettio degli uccelli in sottofondo.Spesso sono le donne a servire i clienti dei bar, efficienti  ma distaccate, il loro ruolo è servire, sorridono ma non vogliono perdere tempo.

I primi pionieri non trovarono bar nel villaggio sull’altopiano, forse qualche tecceria, case del tè,  ma si diedero da fare per costruire anche i bar. E ne costruirono molti. Mi sembra di vederli, i “vecchi coloniali”, nei momenti di svago nei bar, sigari e  cappelli, partite a carte, a bigliardo, le mogli a casa ad attenderli, loro non frequentavano bar, o ci mettevano piede per andare a riprendersi i mariti. Negli anni della campagna d’Etiopia, i militari sbarcati in Eritrea, trovarono un angolo d’Africa che avevano immaginato diverso, l’Africa dei racconti di avventure. Nei pochi giorni di sosta prima della partenza per la conquista dell’impero, andavano in giro per i bar di Asmara, stupiti dalla bellezza delle donne eritree, non selvagge “faccette nere” descritte dalla propaganda fascista, ma donne dal portamento nobile, visi dai lineamenti delicati, fronti rinascimentali. Anche le madame disponibili ai facili rapporti, nei bar delle periferie, stupivano per la padronanza della lingua italiana e l’assoluta mancanza di volgarità.Il grande scrittore e giornalista Dino Buzzati sostò ad Asmara più volte negli anni del fascismo, e fu colpito dalla bellezza della città, definita da lui, in articoli sul Corriere della Sera “Città piena di luci”. Lo immagino, Dino Buzzati, seduto in uno dei bar di Asmara, mentre scrive appunti su quell’angolo d’Africa che lo aveva tanto affascinato. Appunti che divennero bellissimi articoli, alcuni inediti per via della censura fascista.

Al Bar Commercio, nell’ex Viale della Regina, ci andavano mio padre e i miei zii negli anni cinquanta, e a noi bambini, che capitavamo non a caso, offrivano paste e caramelle. Mio padre, appassionato del gioco degli scacchi, faceva interminabili partite, al Bar Portico, con un maggiore inglese di origine polacca. A volte passavo dal Bar Portico, la sera, ma non osavo distrarre i due scacchisti immersi nel gioco, nel silenzio, e in nuvole di fumo.  Negli anni sessanta si andava poi al Bar Alba, molto frequentato per la simpatia e comunicativa della signora Alba e l’efficienza e gentilezza dei camerieri eritrei. Bicchierini di anice, arachidi, e  l’appetitoso “mezé”, crostini con salumi e formaggi, un happy hour di quei tempi. I  frequentatori si conoscevano tutti, si poteva essere certi che arrivavano puntuali all’ora dell’aperitivo. Giocavano a carte, leggevano il giornale, chiacchieravano. Mio padre, silenzioso e riservato, non mancava agli appuntamenti al Bar Alba, a pochi passi dal suo ufficio. 

Al Bar Rex si davano appuntamento, dopo mezzogiorno, signore e signori che sfoggiavano, soprattutto la domenica, abiti eleganti e gioielli, ci tenevano molto all’apparenza. Era frequentato anche dagli appassionati di corse automobilistiche, nel bar si intrecciavano pettegolezzi e commenti sulle gare allora frequenti ad Asmara. Quando uscivo da scuola, alle superiori, passavo davanti al Bar Rex per vedere, cercando di non farmi notare, ma sperando di essere notata, da colui di cui mi ero infatuata, appassionato di corse. Era un bar affollato a quell’ora, alcuni giovani stavano sulla soglia con un bicchierino in mano o la sigaretta, a chiacchierare e a guardare le studentesse appena uscite da scuola, le ragazzine con i grembiali scuri svolazzanti nel vento.

Sono cambiati, come si dice sempre, i tempi. Ma non è cambiata la vita nei bar di Asmara, e oggi, a differenza degli anni lontani, molte donne frequentano i bar. Anche l’anziana signora eritrea dal portamento elegante, a passeggio con l’ombrello che la ripara dal sole, vedova di un militare di alto rango fatto fucilare dal colonnello etiope Menghistù ai tempi della dittatura dei militari etiopici, fa la sua sosta in un bar a guardare la vita che scorre. Ci sono stati anni in cui gli eritrei non entravano nei bar frequentati dagli italiani, bar che hanno visto passare la storia, e magari i bigliardi, i banconi, i lampadari sono gli stessi degli anni delle discriminazioni. Molti giovani militari americani del quartiere di Kagnew Station, cittadina nella città, in cui tutto era rigorosamente made in USA, anche il pane era made in USA, la sera uscivano dalla loro Little America e affollavano i bar. Bevevano innumerevoli bottiglie di birra, infatuandosi delle donne più disponibili, finché a tarda notte arrivavano i poliziotti di Kagnew Station per riportarli a casa. Dal trasmettitore di Kagnew Station ci arrivavano le canzoni americane anni cinquanta, le voci di Frank Sinatra e di Mario Lanza, musica classica e jazz a tutte le ore del giorno e della notte. Anche in alcuni bar c’erano radio sintonizzate con quella che chiamavamo Radio Marina.

La vita è ripresa, nei bar, dopo la liberazione dell’Eritrea. Nei lunghi anni della guerriglia, soprattutto negli ultimi, nei giorni in cui era in vigore il coprifuoco dal tardo pomeriggio, i bar erano semivuoti, regnava la paura. Semideserti, silenziosi, trasmettevano una sensazione di angoscia, di solitudine, quell’estrema solitudine in cui era confinata e abbandonata da tutti la ex colonia italiana.I giovani e non giovani eritrei che giocano a bigliardo non sono diversi dagli italiani dei tempi che furono, i bambini che entrano alla ricerca di zii disposti a offrire una pasta o una caramella assomigliano a noi bambini di una volta, e le ragazze che passano davanti a questo o quel bar nella speranza di incontrare il ragazzo sognato, provano le nostre emozioni di allora. I bambini che vendono mastiche, fuori dai bar, hanno invece sguardi malinconici e lontani. Quando ci si incontra, tra i nostalgici lontani da tanto tempo dalla rimpianta città di luce, sono inevitabili i ricordi “Ti ricordi il bar Zilli?”  “La cartoleria, quella vicino al bar Portico” “Il negozio di scarpe accanto al bar Royal”, e così via.

C’è un bar, vicino a un vecchio cinema, in cui ogni giorno si siede un vecchio alcolizzato, disperatamente solo. Beve e guarda lontano, immagini che solo lui può vedere. Qualcuno lo saluta. L’anziano uomo con una corona di capelli bianchi intorno al viso e una sciarpa celeste, beve un bicchiere di birra, un altro, poi si mette a parlare ad alta voce alle sue molte ossessioni. “Viene qua da molti anni” dice qualcuno “una volta non beveva, lavorava in un negozio”.  Ha perso due figli e una sorella in guerra, e dopo poco tempo è morta la moglie. Questo bar è la sua casa, trascorre qua molte ore, purtroppo non riusciamo a fare niente per lui.Sono i bar della storia e delle storie, della vita che passa, che muore e rinasce in questa città piena di luci.

Testo di Erminia Dell’Oro
Foto di Massimo Bicciato

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