TRA IL BIANCO DELLE MURA

Non puoi fare nulla, è qualcosa di istintivo, qualcosa che è dentro da sempre nelle profondità inesplorate. Capisci cosa intendo vero?
Le sensazioni non sono mai casuali, le custodiamo ma non lo sappiamo fino al momento in cui affiorano. Sono il cuore e il cervello che comandano e decidono quando aprire il cassetto.
E' proprio qui, in questa terra senza tempo, in questa bianchissima città dove di giorno il sole riflette i suoi raggi abbagliandoti, quasi a cercare di confonderti, a farti pensare che sia solo un miraggio, una meta sognata ma che non esiste.

E' in questa prima discesa dalla scaletta del bus, con il sole che ti pervade che, come primo gesto istintivo alzi la mano sulla fronte per ripararti dal bagliore e cercare di scorgere il miraggio: Gerusalemme, un nome che hai sentito pronunciare migliaia di volte; ora ce l’hai davanti.
Ti trovi di fronte a quel nome, ma Gerusalemme non sarà mai il nome di una città, è qualcosa che supera, che va oltre, che scavalca le sue mura per raggiungere il mondo.
Così mentre cammini al fianco delle alte e vecchie mura mastichi in bocca questo nome; ti rendi conto che le stai assaporando, stai cercando di conoscerne il gusto, la sostanza di cui sono composte, il suono della loro voce.
Cammini con gli occhi rivolti a loro e ti rendi conto di sorridergli; senza un motivo apparente, forse solo per salutarle e presentarti nel modo migliore.
Sensazioni che non si possono comprendere, si devono vivere, toccare, gustare.

L’accordo tra cuore e cervello si fa sempre più stretto e percepisci che qualcosa dentro di te sta cambiando.
Ti senti strano, di una stranezza per nulla alienante; a dirla tutta ti senti compreso e coccolato.
Lo so, sembra dissonante parlare di comprensione in una delle città più complicate della storia, sembra un affronto a tutto quello che rappresenta, uno scacco a tutte le lotte che si combattono; ma vi sfido a percorrere i suoi stretti vicoli di pietra bianca senza essere assaliti da questa sensazione.
Quando varchi la porta di Jaffa o la porta di Damasco hai la certezza di scorgere, in mezzo alla moltitudine di turisti e religiosi, anche il vecchio carretto trainato da un asinello. Immagini di incontrare un anziano viandante che, stremato dalla fatica del lungo viaggio, si ferma a contemplare il tempio di re Davide mentre il suo asinello si può finalmente abbeverare.
Poi scendi le strette viuzze pullulanti di negozi, di suoni, di luci che filtrano dall’alto e di profumi speziati che invadono naso e gola.

Mentre saluti la città con gli occhi sgranati e un sorriso, lei ricambia con il caleidoscopico omaggio ai tuoi sensi.
Allora capisci di esserti smarrito nell’intricata trama di vicoli, ma che nonostante non sappia dove ti trovi, né dove potresti finire sei estremamente sereno e non provi nessun timore; come se lo smarrimento fosse un passaggio essenziale per abbracciare questa città e le sue mura.
Prosegui frenetico lasciandoti guidare dall’istinto e dalla folla di fedeli che a tratti compare e poi scompare.
Sei stato rapito, ne sei cosciente e ti va bene così.
Non hai più voglia di lottare contro questa situazione, la vuoi assaporare.

Ti siedi in un minuscolo bar mentre il barista arabo ti serve un chay raccontandoti di quanto sia complicata questa città ma che, nonostante tutto, da qui non se ne andrebbe mai perchè questa è la sua terra.
Sei rilassato e sdraiato sulla sedia, le sue parole sono già volate via, mischiate a mille discorsi di migliaia di persone che ogni giorno, di ogni anno, qui a Gerusalemme, discutono sui problemi della città. La questione è ormai parte stessa della sua quotidianità.
Senza più un inizio, senza una fine.
Una amica giornalista un giorno mi confidò: c’è un detto tra i reporter che lavorano qui: quando arrivi a Gerusalemme, dopo il primo giorno vorresti scrivere un libro, dopo il primo mese capisci che al massimo potresti scrivere un articolo, dopo il primo anno hai la certezza di non potere scrivere nulla.

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