E’ proprio vero, ci sono navi che nascono sotto il segno della dea Fortuna ed altre alle quali, invece, il destino ha riservato una sorte infausta.
Difficile dire se il Regio sommergibile Galileo Ferraris sia appartenuto alla prima od alla seconda schiera. Di una cosa però si può essere certi: la sua storia non può essere disgiunta da quella di un uomo straordinario, Angelo Belloni e quello che segue è il racconto della loro avventura nel Mar Rosso eritreo.
Il sommergibile
Varato agli inizi del novembre 1913 ed entrato in servizio come “torpediniera sommergibile” nel dicembre dell’anno successivo, partecipò alla prima guerra mondiale, incrociando per lo più nelle acque dell’Alto Adriatico e della Dalmazia, dove effettuò molte missioni, senza peraltro riportare, a quanto risulta, alcun successo: l’unica azione bellica di rilievo furono infatti i sei colpi da 76 mm sparati il 10 marzo 1917 nei pressi di Ancona contro un velivolo austriaco.
Per alcune fonti, nel 1917 fu modificato per consentire la fuoriuscita di assaltatori subacquei che avrebbero dovuto attaccare le navi austriache nei porti dell’Istria e della Dalmazia e proprio in quel periodo sembra sia stato affidato al comando del T.V. Angelo Belloni.
Entrambe le notizie non sono confermate dall’esame della documentazione conservata presso l’USMM. Anzi, se nulla emerge circa le presunte modifiche in tempo di guerra, che riteniamo siano invece state apportate alla Spezia nel periodo 1918-19, è invece certo che dal giugno 1916 fino all’8 luglio 1917 al comando del sommergibile era il tenente di vascello Montella e che quest’ultimo ne era ancora al comando il 27 novembre di quello stesso anno, in occasione del secondo incaglio.
Sommergibile da piccola crociera Galileo Ferraris
Dati storici Costruito nei cantieri Arsenale M.M. La Spezia.
Varato il 9.11.1913 Entrato in servizio il 5.12.1914.
Radiato il 15.12.1919.
Dislocamento 355 t (in emersione); 405 t (in immersione)
Dimensioni Lunghezza 42,30 m, Larghezza 4,17 m, Pescaggio 3,69 m
Propulsione 2 motori Diesel FIAT con potenza di 1460 cv, due motori elettrici di propulsione Savigliano per 520 cv complessivi, 2 eliche
Velocità 14 nodi (in emersione) – 10 nodi (in immersione)
Autonomia 600 miglia a 14 nodi - 2700 miglia a 8 nodi (in emersione) 25 miglia a 10 nodi - 170 miglia a 2,5 nodi (in immersione)
Profondità 50 m (di collaudo)
Equipaggio 2 ufficiali, 17 sottufficiali e marinai
Armamento 1 cannone da 76 mm3 - 4 tubi lanciasiluri da 450 mm (2 anteriori e 2 posteriori) - 2 lanciasiluri a gabbia in coperta da 450 mm - 8 siluri
Note Costituiva la seconda delle due unità della classe Pullino
Classificato anche come Torpediniera Sommergibile, una volta ceduto a privati fu iscritto nei ruoli della marina mercantile come “sommergibile da commercio” e conosciuto anche come “nave da pesca sommergibile".
In quella data, al rientro da una delle sue missioni, a causa delle pessime condizioni del mare, il Ferraris si incagliò a circa 2 miglia a nord del Po di Primaro (alla foce del Po di Gnocca).
Dopo quasi due mesi di vani tentativi per disincagliare l’unità, finalmente il 16 gennaio 1918 i rimorchiatori Fiumicino e Garibaldino con l’aiuto del pontone da dragaggio Eridano, protetti dalle torpediniere 46 O.S. e 48 O.S., riuscirono a liberarlo rimorchiandolo a Porto Corsini. I danni subiti dallo scafo non potevano essere riparati in loco, per cui il Comando Marina decise di trasferirlo all’arsenale della Spezia. Il 2 febbraio iniziò così, al traino del rimorchiatore Luni, quella che sarebbe stata la sua ultima crociera sotto bandiera militare.
Il sommergibile lasciò Porto Corsini e facendo tappa ad Ancona, Brindisi e Messina, giunse alla Spezia, dove avrebbe dovuto essere sottoposto a lavori ed alla sostituzione dei motori. Per eventuali interventi d’emergenza durante la navigazione, si imbarcarono sul rimorchiatore il Tenente di Vascello Opiperi, con parte dell’equipaggio del Ferraris, mentre il comandante Montella, assieme al resto dell’equipaggio, avrebbe raggiunto La Spezia via terra.
Le non buone condizioni generali dell’unità, assieme al miglioramento delle tecniche costruttive di battelli subacquei, da un lato, ed all’imminente termine del conflitto, dall’altro, indussero però la Regia Marina a porre il Ferraris in disarmo, in attesa di radiazione. Angelo Belloni, non si rassegnò però a veder demolire il battello e fece così tante pressioni sull’Ammiraglio Paolo Emilio Thaon di Revel da convincerlo a mettere ai lavori il sommergibile modificandolo per consentirgli a continuare i suoi esperimenti con gli assaltatori subacquei. Nel febbraio 1919 vi fu il nuovo varo e Belloni riprese finalmente a sperimentare le sue idee fra La Spezia e Palmaria. La guerra aveva però esaurito le finanze pubbliche e la Regia Marina fu costretta comunque a radiare il sommergibile dai ranghi il 15 dicembre 1919. Non è certo facile dire a questo punto se la sua sorte sia stata o meno fortunata: certo, l’unità era riuscita a sopravvivere al conflitto, riportando a casa sano e salvo il proprio equipaggio. D’altro canto, però, come unità militare nata ed attrezzata per infliggere danni al nemico, il suo stato di servizio non brillava certo e l’ultima disavventura non aveva di sicuro giovato alla sua fama. Il Destino offrì però al Ferraris un’altra occasione, anche se non più in “divisa”, ma vestendo, per così dire, abiti borghesi, assieme ad Angelo Belloni.
L’uomo
Di famiglia genovese, ma nato a Pavia il 4 marzo 1882, Angelo Maria Belloni, è stato un personaggio geniale quanto estroso, dal carattere impetuoso ed impulsivo.
Dopo aver conseguito la maturità classica al liceo Beccaria di Milano, già nel 1899 aveva presentato domanda di ammissione all’Accademia Navale ma venne scartato alla visita medica per deficienza toracica. Deciso ad entrare in Accademia, si impegnò in modo incredibile in attività sportive, particolarmente nel canottaggio, tanto ripresentarsi il 15 agosto 1900 a Livorno, superare una seconda visita medica e coronare così il suo sogno di entrare in Marina. Conclusi brillantemente i tre anni d’Accademia (fu 2° del suo corso), ebbe il suo primo imbarco come guardiamarina sull’incrociatore Marco Polo. Convinto dell’importanza del mezzo sommergibile e delle potenzialità militari insite nelle attrezzature subacquee, divenne ben presto sostenitore dell’arma sottomarina, tanto da essere destinato alla nuova specialità con il grado di Sottotenente di Vascello. Deciso interventista, compì il 4 ottobre 1914 un vero e proprio atto di pirateria, impossessandosi, assieme ad una quindicina di marinai convinti di partecipare ad una missione segreta (secondo altre fonti, invece, perché condividevano le sue stesse idee), di un sommergibile costiero costruito nei cantieri navali del Muggiano e destinato alla Marina russa (l’unità era ancora contraddistinta soltanto dalla sigla di costruzione, l’ F-43. Se fosse stata consegnata, avrebbe avuto il nome di Svyatoi Georgjy). La sua idea era quella di attaccare unità della Marina austriaca, costringendo così l’Italia ad entrare in guerra. Il tentativo fallì, anche perchè Belloni si era recato in Corsica per rifornirsi di siluri e cercare l’appoggio dell’ammiraglio Le Troter della Marina francese. Questi però non solo non glielo diede ma bloccò lui ed il battello ad Ajaccio fino all’arrivo delle autorità italiane. Il sommergibile fu trasferito quindi nella base italiana del Varignano. Successivamente, requisito dalla Regia Marina ed iscritto al quadro del naviglio militare con R.D. 31 dicembre 1914, fu ribattezzato con il nome di Argonauta. Belloni fu messo agli arresti e processato con l’imputazione di «furto di sommergibile e contrabbando di veicolo». In tempi normali sarebbe stato condannato e quasi sicuramente radiato, ma l’entrata in guerra dell’Italia e le sue indubbie capacità convinsero i giudici del Tribunale militare ad assolverlo. Nel 1915 gli fu affidato il comando del sommergibile tascabile A-1, che però non fu mai impiegato in azione. L’A-1 era il primo di sei piccoli battelli a scafo semplice, con apparato motore elettrico e profondità massima di immersione di 50 metri. Per la limitata autonomia e le modeste prestazioni, tali battelli furono un sostanziale fallimento, vennero messi in disarmo già dal 1917 e radiati prima ancor prima della fine della guerra Nell'estate del 1917, per ordine di Paolo Thaon di Revel l'A1 venne modificato presso l'Arsenale di La Spezia per essere trasformato in vettore di incursori subacquei che avrebbero dovuto attaccare le navi Austro-Ungariche ancorate a Pola.
Venne modificata la falsa torre ed in seguito la parte prodiera, in modo da permettere la fuoriuscita degli operatori dotati di autorespiratore. Dopo alcuni esperimenti incoraggianti si decise non utilizzare l’A-1 a causa delle eccessive limitazioni tecniche e di trasformare per lo stesso scopo il sommergibile Galileo Ferraris, classe Pullino, affidandone il comando proprio a Belloni. Poco più di un anno dopo la guerra terminava e quasi contemporaneamente si interrompeva anche la carriera militare dell’Ufficiale che, a causa di una grave forma di sordità, dovette abbandonare la divisa.
L'avventura
Passione e competenze non potevano però tenere lontano Belloni dal suo amato mondo subacqueo, per cui, quando seppe che il Ferraris sarebbe stato radiato, colse al volo l’occasione e, ancora con il sostegno dell’ammiraglio Thaon di Revel, dell’ex governatore dell’Eritrea, Giuseppe Salvago Raggi e del commendator Aldo Borletti, che gli firmò un assegno centomila lire (dell’epoca!), riuscì a convincere il Ministro della Marina, Ammiraglio Giovanni Sechi a cedergli il sommergibile, che a gennaio 1920 fu il primo (e, a quanto ci risulta, l’unico) sommergibile exmilitare iscritto nelle Capitanerie d’Italia come “sommergibile da commercio”.
Con il Ferraris, Belloni ottiene dalla Regia Marina in affitto, con facoltà di acquisto, anche due vedette, il Cerboli, da 280 tonnellate ed il Fortunale, da 340, immatricolate come piropescherecci. Entrambe queste unità avrebbero dovuto svolgere il ruolo di unità d’appoggio al sommergibile nella nuova attività che il personaggio intendeva intraprendere, quella della ricerca di banchi perliferi e della pesca delle perle, tanto che il Ferraris viene definito “nave da pesca sommergibile”. Sorge naturalmente qualche dubbio sul reale scopo dell’iniziativa di Belloni e della disponibilità della Regia Marina: la concessione ad un privato di un battello sommergibile, unità da guerra, era davvero inconsueta. Questi dubbi li ebbero ovviamente anche gli inglesi, quando il Ferraris fece tappa prima a Port Said e quindi a Port Sudan. Gli equipaggi sono reclutati tra marinai, pescatori ed ex sommergibilisti che confluiscono in una società cooperativa (la coop Argo Palombari). Ufficiale in 2^ sul Ferraris viene nominato il Guardiamarina Lotti, mentre il comando del Fortunale e del Cerboli è affidato rispettivamente ad Antonio Canova e ad Alberto Da Valle, entrambi viareggini. Il piccolo convoglio parte da La Spezia il 4 febbraio 1920 e, dopo lunga e tormentata navigazione, entra finalmente in Mar Rosso attraversando il Canale di Suez. Il sommergibile e le sue due unità di appoggio fanno le prime tappe a Suez e Port Said.
Qui, dopo aver suscitato il preoccupato e comprensibile interessamento dei militari britannici presenti, con l’aiuto del Commendator De Castro, titolare di un’impresa di spedizioni marittime con uffici in Egitto, e di un certo Lazzerini, agente marittimo a Suez, vengono presi contatti per effettuare il possibile recupero di navi affondate nella zona (tra le quali il mercantile inglese Sanandres e l’incrociatore russo Peresviet). Le tre imbarcazioni, che Belloni chiama affettuosamente ”i miei tre anatroccoli”, proseguono il loro viaggio verso sud, sostando a Port Sudan, dove Ferraris, Cerboli e Fortunale fanno carenaggio e, costeggiando Suakin, dove il nostro sperimenta per la prima volta le difficoltà di navigare in mari resi pericolosissimi dai banchi corallini, arrivano finalmente a Massaua. Nel porto eritreo Belloni viene accolto forse più con curiosità che con cordialità dal Governatore, commendatore Camillo De Camillis e dal Comandante della Stazione radio di Abd-el-Kader, Armando Fumagalli, suo compagno d’Accademia. Nei giorni immediatamente successivi, Belloni ha notizia che tra i pescatori di perle delle Dahlak, che lui stima complessivamente in diecimila (cifra che, per chi conosce l’arcipelago, pare francamente del tutto esagerata) serpeggia malumore e preoccupazione, perché si è sparsa la voce che il sommergibile avrebbe razziato in poco tempo, esaurendoli, tutti banchi perliferi, portando così alla rovina tutta la loro comunità. Lasciando il sommergibile ormeggiato nel porto di Massaua a ricaricare le batterie ormai esauste, decide allora di recarsi con il Fortunale a Dahlak Kebir, la più grande delle isole dell’arcipelago, per prendere contatto con i maggiorenti dell’isola, l’imam, i capifamiglia ed i pescatori di perle. La loro accoglienza, al di là di alcune manifestazioni di apprezzamento per le sue parole, resta però fredda e preoccupata, tanto da indurre Belloni a modificare radicalmente il suo progetto originario. Questo prevedeva infatti che il Ferraris si appoggiasse sul fondo, consentendo ad alcuni membri dell’equipaggio, con indosso una sorta di guaina di tessuto gommato ed impermeabile, dotata di cappuccio con oculari (quella che fu poi chiamato “vestito Belloni”) e con degli autorespiratori ad aria tipo Davis di uscire dallo scafo tramite un compartimento stagno e, camminando sul fondo, identificare i banchi perliferi raccogliendo così in quantità le ostriche dal prezioso contenuto. La proposta che invece fa ai pescatori è quella di affidare al sommergibile ed al suo equipaggio il compito di ricercare i banchi perliferi, lasciando a loro il compito di raccogliere sia le ostriche perlifere (chiamate localmente “bil-bil”) che quelle da madreperla (dette “sadaf”). I locali avrebbero quindi lavorato per lui utilizzando tecniche e materiali moderni: Belloni aveva infatti ipotizzato di dotare ogni pescatore di un cappuccio collegato ad un tubo flessibile attraverso il quale sarebbe stata pompata aria da parte di un suo compagno di pesca, rimasto in superficie, a bordo della uri, la classica piccola canoa di cui si servivano i pescatori di perle delle Dahlak. Resosi conto che i pescatori locali erano rimasti sostanzialmente contrari alla sua idea, il nostro Comandante decide di prendere tempo ed organizza una breve crociera con il Fortunale nelle acque del Mar Rosso meridionale, lungo le coste yemenite, per verificare se oltre al progetto della pesca delle perle fosse possibile realizzare con le due ex-vedette un collegamento marittimo tra i porti eritrei di Massaua ed Assab e quelli yemeniti di Hodeida e Moka.
Quanto visto e saputo durante questo viaggio gli crea però forti perplessità sulla fattibilità e profittabilità del progetto della pesca delle perle, perplessità confermate dall’osservazione dei risultati della pesca fatta da tre sambuchi nei pressi di Ras Shiaks, sulla costa eritrea, una ventina di miglia a sud di Thio, nonché dall’esplorazione dei fondali attorno all’isola di Bul-Issar, situata nella zona sud-orientale dell’arcipelago delle Dahlak, dove gli era stato detto che esistevano ricchi banchi perliferi e, forse, affioramenti di petrolio. Pochi giorni dopo il suo rientro a Massaua riparte verso nord, questa volta a bordo del Cerboli, sempre alla ricerca di banchi perliferi. Pur avendo a bordo un nakuda locale, l’imbarcazione urta un blocco madreporico sommerso, perdendo le pale dell’elica. Con vele di fortuna, il Cerboli riesce a rientrare qualche giorno dopo a Massaua, ma quanto accaduto convince definitivamente Belloni ad abbandonare il suo progetto della pesca delle perle, sia per la scarsezza dei banchi, sia per la cattiva qualità delle perle, sia, infine, per le difficoltà di navigazione all’interno dell’arcipelago. Non mancò comunque di pesare in questa sua decisione il rifiuto opposto dal Governatore De Camillis alla sua richiesta di concedergli un’esclusiva per la pesca delle perle in alcune aree delle Dahlak. A questo punto, Belloni, anziché perdersi d’animo, cerca di sfruttare al meglio le competenze sue e dell’equipaggio, nonché i mezzi a disposizione, puntando a realizzare l’idea del collegamento marittimo alla quale si aggiunse quella del recupero di relitti nel Mar Rosso, in particolare lungo le coste egiziane e sudanesi. A tale scopo, nella prima metà del luglio 1920 rientra in Italia e contatta nuovamente il Ministro Sechi, ottenendo l’impegno alla cessione in affitto di un grande pontone, il GA 111, e di altre tre vedette, la Serpentara e la Selinunte e la G-38, quest’ultima, ex giapponese, di oltre 350 tonnellate di stazza. Per far fronte al nuovo impegno economico, Belloni si rivolge ancora alla Banca Italiana di Sconto, dalla quale aveva in precedenza ottenuto dei cospicui finanziamenti, ma il 14 luglio la Banca, in grave crisi, gli nega un ulteriore prestito. Convinto delle sue idee e contando di coprire i costi vendendo il sommergibile, riesce egualmente a concludere con La Regia Marina l’affitto in conto acquisto delle tre vedette e con la G 38 rientra in mar Rosso. Il Galileo Ferraris viene trasferito prima a Suez e poi a Port Said per essere venduto, ma sorgono problemi giudiziari, tanto che la Ditta Lazzarini di Suez procede ad un sequestro del battello per un credito di 1.300 Sterline. La Regia Marina, che nel frattempo ha verificato una serie di irregolarità nell’atto di cessione del Ferraris, tra le quali anche il mancato pagamento del prezzo di acquisto, pari a 150.000 lire, subentra nell’operazione a Belloni. Tra l’inizio e la metà del 1921 il sommergibile viene parzialmente demolito ed il ricavato della vendita del suo motore e di poche altre attrezzature, nonché quella del Cerboli, va in parte alla Marina stessa ed in parte a coprire le spese di rientro in Italia dell’equipaggio.
La conclusione
Termina qui l’avventura terrena e marina (in molti credono che anche le navi abbiano un’anima…) del Galileo Ferraris. Una fine ingloriosa, probabilmente, che ripropone il quesito se il battello nacque sotto una buona o cattiva stella. Continua invece tra delusioni e soddisfazioni l’avventurosa vita di Angelo Belloni che, dopo un’altra esplorazione delle acque del Mar Rosso sudanese ed eritreo effettuata nel 1931, si dedicò alla ricerca nel campo delle attrezzature subacquee fino a quando nel 1940 (all’età di 58 anni!), alla vigilia della seconda Guerra Mondiale, in virtù delle sue indubbie capacità tecniche e di innovazione nel campo subacqueo fu richiamato in servizio, divenendo prima direttore dei corsi della Scuola Sommozzatori della Regia Marina presso l’Accademia di Livorno e quindi consulente tecnico, contribuendo in modo fondamentale allo sviluppo tecnologico dei mezzi in dotazione alla Xª Flottiglia MAS, senz’altro meno in quello delle tecniche operative. L’idea originale di Belloni di impiegare dei guastatori subacquei che, fuoriuscendo da un sommergibile, potessero camminare sul fondo trasportando sulle spalle una carica esplosiva da collocare poi sotto le carene delle navi nemiche era stata infatti modificata, prevedendo di utilizzare nuotatori subacquei che, sempre uscendo da un sommergibile immerso o da appositi vani ricavati nella carena di una nave (come avvenne con l’Olterra ad Alceriras) riuscissero ad avvicinarsi agli obiettivi e ad agganciare dei bauletti esplosivi alle alette antirollio delle navi nemiche.
Dopo l’8 settembre del 1943 aderì alla Repubblica Sociale Italiana arruolandosi volontario nella ricostituita Xª Flottiglia MAS del principe Junio Valerio Borghese, In forza alla 42^ Squadriglia Sommergibili tascabili C.A. di stanza alla Spezia, dal maggio 1944 ne ebbe il comando, sostituendo il C.V Umberto Andreoli di Sovico, nominato Comandante della Base operativa “Ovest” a Sesto Calende. Al termine della guerra Belloni collaborò con le truppe alleate allo sminamento di alcuni porti italiani, fino al momento in cui fu congedato con il grado di Capitano di Corvetta. Angelo Belloni trascorse gli ultimi anni della sua vita nel castello Raggio a Cornigliano (Genova), fino al momento della sua morte, avvenuta nel 1956, dopo essere stato investito a Genova da un tram che non aveva sentito giungere, forse a causa della sua sordità. Tra i risultati del suo ingegno e delle sue sperimentazioni, molti dei quali brevettati, vanno ricordati il sistema di fuoriuscita da sommergibili immersi, le migliorie ai sistemi autorespiratori individuali a lunga autonomia, mod. 49/bis (maggiore affidabilità ed autonomia portata da 20 minuti a quattro ore), il vestito impermeabile (una sorta di tuta subacquea ante litteram), con annesso cappuccio. La storia della sua vita è stata raccontata da lui stesso nel libro “Cinquant'anni di mare - Memorie 1900-1950”, pubblicato da Mursia nel 2008. Ringraziamenti Non è stato facile rintracciare e verificare informazioni che risalgono anche ad oltre novant’anni fa.
L’Ufficio Storico della Marina mi è stato di grande aiuto per completare le ricerche e ringrazio per la cortesia e la disponibilità dimostratemi il suo Direttore, C.V. Francesco Loriga, il Capo Sezione Editoria, C.F. Innocente Rutigliano, il 1° Maresciallo Vincenzo Fiorillo e la Signora Marina Pagano. Per l’incoraggiamento e la revisione critica di queste note un ringraziamento particolare alla Prof.essa Valeria Isacchini
testo di Vincenzo Meleca