Sambuchi

I DHOW
Vere opere d'arte e fondamentali strumenti di navigazione nella storia dei paesi arabi, i dhow erano usati già 4.000 anni fa, quando i sudditi del regno di Magan, l'odierno sultanato dell'Oman, risalivano il Golfo Persico per caricarsi di lana, olio e cereali. Lo stesso Sindbad, il famosissimo navigatore delle Mille e una notte, d'origine omanita, solcava i mari d'oriente a bordo dei dhow. Dei pirati che un tempo saccheggiavano intere città a bordo di queste barche ci rimangono le leggende e le sagome di queste imbarcazioni, immutate nei secoli. Sui loro dhow gli arabi si spinsero sino alle coste cinesi, carichi di sete, chiodi di garofano e incenso, navigando dalle coste africane sino a quelle della Malesia. Marco Polo, durante il suo peregrinare attraverso il Katay, rimase impressionato da queste strane imbarcazioni che ne annotò le caratteristiche nel Milione, descrivendo il curioso assemblamento del fasciame, legato con fibra di cocco. Il termine dhow deriva dall'arabo dau che significa genericamente barca e, in realtà, il dhow è il modello d'imbarcazione più comune e diffuso. Ma il termine con cui l'arabo indica la grossa barca attrezzata con vele latine è propriamente sambuq, da cui il nostro sambuco. Fin dai tempi più remoti le acque del Mar Rosso erano solcate dai sambuchi costruiti nei maggiori porti della costa. Il sambuco è stato il solo mezzo di navigazione usato dai musulmani nel corso delle loro secolari campagne di conquista e per i loro traffici lungo le rotte del Mar Rosso e oltre, quando, oltrepassando lo Stretto di Bab el-Mandeb, si spingevano fino al sultanato di Zanzibar, dove scambiavano spezie e schiavi. Il porto do Zanzibar è stato, sino alla metà del secolo scorso, il crocevia dei traffici più disinvolti e il punto d'incontro di mercanti provenienti da tutti gli Orienti. Dalla stiva del dhow sortivano e rientravano merci d'ogni genere ed era compito del nakuda, il rais del sambuco, piazzare la merce al miglior prezzo. Imbarcazioni dalla struttura possente costruite utilizzando il miglior legno di teck e robusto legno d'acacia per lo scheletro interno, i sambuchi hanno mantenuto inalterata la loro struttura in tutti questi secoli, così come la vita di bordo non è cambiata nelle abitudini, nei ritmi e nei ruoli. L'equipaggio di un sambuco, apparentemente troppo numeroso rispetto alle dimensioni delle imbarcazioni, è invece necessario considerato l'enorme sforzo richiesto da ogni manovra. Vele di pesantissimo cotone grezzo vengono issate a fatica sul pennone; cime di spessa e durissima canapa scorrono attraverso rudimentali bozzelli, e la mancanza di verricelli, costringe al recupero a mano delle ancore. Ogni operazione viene accompagnata da una cantilena che prende il ritmo della manovra stessa. Mentre gran parte dell'equipaggio è impegnato in questa operazione, il nakuda, si affida al suo senso dell'orientamento, a vecchie carte nautiche e a rudimentali sestanti, i kamal, per seguire la rotta. Punti di riferimento a noi sconosciuti sono, al contrario, fondamentali per un buon nakuda, come le stelle, quando naviga di notte senza strumentazione.


Tradizioni tramandate da millenni che vengono ancora messe in pratica con gli stessi sistemi di un tempo. Furono i navigatori arabi i primi ad introdurre la vela di taglio o vela triangolare, denominata vela latina che permetteva di risalire il vento di bolina. Due sono i venti che condizionano la navigazione dei sambuchi: il kuzi che spira in direzione sudovest, da luglio ad ottobre e il kakazi che spira in direzione nordest da ottobre a marzo. Sono questi i nomi dei monsoni che per millenni hanno spinto le barche d'inverno verso le coste indiane e d'estate in direzione delle coste arabe. E' proprio dal ciclo costante di questi monsoni che i primi nakuda, intrapresero i loro viaggi lungo la più antica rotta commerciale del mondo ed è sulla base di questi venti e del tipo di mare che vennero progettate le linee dei sambuchi. Uomini rudi con la pelle segnata dal tempo e dalla salsedine, vivono stipati a bordo delle imbarcazioni in un silenzio che viene spezzato soltanto durante le battute di pesca, quando tutti insieme intonano canzoni propiziatorie in un dialetto incomprensibile. Il tempo a bordo di un sambuco è scandito dalle cinque preghiere quotidiane e, secondo la miglior tradizione mussulmana, nel momento della preghiera anche il nakuda, il cui ruolo gli riserva generalmente un gradino più alto rispetto all'equipaggio, si confonde in mezzo agli altri e non è dissimile da loro di fronte ad Allah. Oggi i pochi sambuchi rimasti, dispongono di rumorosissimi motori diesel che hanno con il tempo sostituito le vele, sono state ridotte le loro dimensioni; oggi non superando i venti metri di lunghezza, sfruttano l'albero maestro in posizione orizzontale, come supporti necessari ai marinai per difendersi dalle imperiose onde in mare aperto. Attualmente l'utilizzo dei sambuchi, si è notevolmente ridotto in tutto il Mar Rosso. E' ancora possibile osservarne alcuni esemplari operativi sul versante arabo della costa sulle coste dell'Oman e dello Yemen. I governi di Egitto e Sudan, ne hanno vietato la navigazione in quanto usati per il contrabbando di alcolici. Gli ultimi esemplari giacciono ormai accantonati nei vecchi porti simili a scheletri di enormi animali preistorici, col fasciame sempre più corroso dalla salsedine.


COSTRUZIONE DI UN DHOW - In passato il fasciame veniva assemblato tramite una particolare legatura con corde di fibra di cocco. La corda veniva fatta passare più volte nelle coppie di fori praticati orizzontalmente in modo da formare un orditura a X fra le varie giunture. Legatura e calafatura venivano eseguite contemporaneamente impregnando la corda di una particolare resina di olio di pescecane. Le assi del fasciame venivano fissate all'ossatura con chiodi di durissimo legno africano conferendo una perfetta elasticità a tutta la struttura. Altro elemento fondamentale è la robustissima foglia di palma ancora utilizzata per diversi scopi: per ridurre la vela quando rinforza il vento (terzarolare), come garrocci per serrare la vela di notte, per assicurare l'ancora alla cubia. Oggi i chiodi hanno sostituito le corde di cocco ma sostanzialmente la realizzazione di un dhow è rimasta invariata, anche nelle attrezzature impiegate: trapano ad arco, martello e sega. La loro linea è immutata, con le tipiche prue affilate che tagliano il mare come lame di coltello.


DIVERSE TIPOLOGIE DI IMBARCAZIONI
DHOW: ha forma a baccello, lungo dai 15 ai 40 metri, ed è facilmente riconoscibile per la caratteristica linea della prua alta e inclinata a 45 gradi. Quasi sempre porta sulla prua decorazioni bianche e nere.
BOUM: riconoscibile dal dritto di prora molto prolungato, a costituire quasi un bompresso appiattito lateralmente. Il corto albero di maestra ha una base collocata verso prua ed è inclinato in avanti, mentre l'albero di mezzana è inclinato verso poppa.
BAGHLAH: utilizzata come nave da trasporto, può raggiungere una lunghezza di 40 metri per una stazza di 500 tonnellate. La poppa è alta e molto decorata. Si tratta di un'imbarcazione di lusso paragonabile ai nostri più bei vascelli del settecento. Oggi non viene più costruito.
SAMBUQ: tipica imbarcazione utilizzata in Mar Rosso e destinata al trasporto di merci e passeggeri. La poppa alta e la prua bassa e inclinata gli conferiscono una linea molto elegante.
BATTIL: ha una linea particolarmente affusolata e prua bassa, scolpita in modo da formare un grande disco. Molto utilizzato in passato, è ora praticamente scomparso in quanto la sua forma non è adatta al trasporto merci.
BAGGARAH: lungo 8-10 metri, viene utilizzato per la pesca.
HURI: ricavato da un unico tronco di mango, ha fondo piatto e fiancate verticali. E' privo di timone.
Altri tipi di dhow: BELEM, SHU'AI, JALIBOOT: i loro disegni sono più recenti e ricalcano gli schemi delle imbarcazioni del XVII secolo.

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